Il malto è davvero sostituibile dallo zucchero o dal miele?

Il malto è davvero sostituibile dallo zucchero o dal miele?

Nelle ricette di panificazione si legge spesso che se non si ha il malto lo si può sostituire con il miele o lo zucchero, la scienza ci spiega perché non è la stessa cosa.

Il malto è un ingrediente importante non solo per la produzione di whisky e birra, ma anche per molti lievitati da forno. Nelle ricette di panificazione, si legge spesso che se non si ha il malto a disposizione lo si può sostituire con il miele o lo zucchero. Quanto c’è di vero in questa affermazione? E che cos’è il malto?

Il malto può essere considerato un miglioratore. In generale, migliora la plasticità dell’impasto, aumenta la velocità di lievitazione, ottimizza la fermentazione e lo sviluppo in cottura, garantisce friabilità, ravviva il colore della crosta, ed infine esalta gusto e aroma. Lo zucchero (come gli altri dolcificanti) è un elemento imprescindibile nei grandi lievitati da forno e in generale nel mondo della pasticceria per ragioni ovvie, ma non avendo le stesse caratteristiche del malto, non si comporta allo stesso modo.

Perché il malto non è sostituibile da zucchero o miele.

Partiamo dal presupposto che durante la fermentazione le cellule di lievito si nutrono con gli zuccheri, e che più zuccheri sono presenti, più la fermentazione è attiva. Si potrebbe pensare che, per attivare la fermentazione, sia sufficiente solamente aggiungere nell’impasto lo zucchero, giusto? Sbagliato. In realtà l’aggiunta all’impasto di zucchero, sia esso maltosio o saccarosio, non risolverebbe nulla, perché le cellule di lievito lo esaurirebbero subito. Quindi, per alimentare le cellule del lievito, lo zucchero deve continuamente crearsi nell’impasto tramite la scomposizione dell’amido della farina con l’aiuto degli enzimi (amilasi). Ed è proprio quello che fa il malto, ecco perché non è sostituibile dallo zucchero o dal miele.

Ma come si ottiene il malto?

Il malto è prodotto nelle malterie secondo un processo chiamato maltaggio, che sfrutta le reazioni chimico-fisiche e biologiche innescate dalla lavorazione delle cariossidi, i chicchi di cereale. Le cariossidi vengono idratate (processo di macerazione), areate e mantenute a temperature controllate per diversi giorni. In questo modo il cereale dapprima dormiente inizia a germinare. La principale reazione che ne consegue è la trasformazione dell’amido – presente nella cariosside – in zucchero maltosio con l’aiuto degli enzimi diastasi (α e β-amilasi).

Quando il germoglio si trova nel pieno del processo germinativo e ha raggiunto la misura desiderata, lo sviluppo viene bloccato per passare alla seconda fase, l’essiccazione.

L’essicazione serve per portare al giusto grado di umidità il chicco maltato e renderlo così idoneo alla macinazione. A questo punto del processo produttivo, possiamo già parlare di malto d’orzo o di frumento. Per inciso, questa è anche la prima fase di produzione del whisky, dove il malto da zucchero viene trasformato in alcol in seguito alla fermentazione. Se poi l’essiccazione dei chicchi avviene bruciando la torba, il whisky avrà un sapore affumicato (whisky torbato).

La fase successiva, come dicevamo, è la macinazione del chicco germinato, dalla quale si ottiene la farina di malto (nel caso del whisky è una farina più grossolana chiamata grist).

I cereali più adatti per questo processo sono l’orzo e il frumento. Il malto d’orzo, per esempio è il cereale naturalmente più ricco in fibre, vitamine ed elementi salutari.

Dulcis in fundo, a seguito di un’ulteriore lavorazione della farina, si ottiene l’estratto di malto, un prodotto ancora più versatile.

 

È importante distinguere tra estratto di malto diastasico e non diastasico.

Questa distinzione fondamentale ne stabilisce l’uso. Il termine diastasico denota la numerosa presenza di enzimi in grado di trasformare il maltosio (zucchero complesso), in glucosio (zucchero semplice). L’aggiunta di malto diastasico all’impasto stimola molto la fermentazione perché il lievito viene nutrito dagli zuccheri in continuazione. In concreto, l’aggiunta del malto diastasico all’impasto offre questi vantaggi:

  1. fermentazione più efficiente;
  2. alveolatura ben sviluppata, sintomo di un prodotto leggero e dalla facile digestione;
  3. crosta più dorata;
  4. vigorosità al naso e al palato.

Il malto non diastasico invece lavora solamente sul punto 3 e il punto 4, ma non ha alcun potere sulla fermentazione dell’impasto.

 

Come e quando ha senso usare il malto diastasico?

Il malto diastasico viene aggiunto alla farina in quantità non superiore all’1% in peso rispetto alla farina (dunque 10 g per kg di farina). Esagerare con le quantità inficerebbe sulla mollica rendendola umida e collosa.

L’aggiunta di malto è importante soprattutto per:

  • le lunghe lievitazioni in cui i lieviti hanno bisogno di “mangiare” tanti zuccheri (panettone e colomba, pane con lievito madre, pizza a lunga maturazione)
  • per le farine che hanno una bassa attività amilasica
  • per gli impasti preparati con le bighe, perché più aumenta il tempo di fermentazione e meno zuccheri rimangono. Quando lo zucchero finisce, non può avvenire la caramellizzazione della crosta, che risulterebbe cerea, insapore e poco croccante.

Generalmente su internet ci vengono propinate ricette e sostituzioni di ingredienti vari, dando per scontata la fretta e la superficialità del lettore. La panificazione però, è una cosa seria, e noi non possiamo trascurare il lato primordiale della natura umana che si interroga sul perché delle cose. Sebbene in alcune ricette di panificazione si suggerisca la sostituzione del malto con lo zucchero o il miele, la scienza e la pratica dimostrano che il nostro protagonista ha caratteristiche uniche e irrinunciabili per ottenere lievitati di alta qualità.

 

Foto Credits: Canva

Fonti: Testi di Giambattista Montanari, Piergiorgio Giorilli, AVPN

 

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