CIBO DELL’ANIMA – DIALOGO 3 – MARZO 2021

CIBO DELL’ANIMA – DIALOGO 3 – MARZO 2021

Cibo dell’anima. L’invidia.

“C’era una volta un uomo che viveva nella scarsità. Dopo molte avventure e un lungo viaggio attraverso la Scienza economica, incontra la Società dell’abbondanza. Essi si sposarono ed ebbero molti bisogni”.

Jean Baudrillard.

Sin qui abbiamo visto i diversi ruoli e pesi gerarchici creatisi tra produttori e cosiddetti scrocconi e, in particolare, abbiamo analizzato il valore del surplus. Sembrerebbe quindi intuitivo pensare che un aumento del surplus generato dallo sviluppo economico e dall’industrializzazione possa liberare dalla povertà i produttori.

Invece è chiaro che se anche tutti potessero riuscire ad acquisire ricchezza non sarebbe possibile per tutti acquisire potere: alcuni cercherebbero comunque di sottoporre gli altri al proprio controllo. Una sottigliezza non banale se inserita nel contesto dei rapporti di potere. Capitalismo e industrializzazione hanno aumentato la ricchezza ma non hanno assegnato a ciascuno uguale autonomia di scelta e d’azione.

I consumatori odierni possono quindi essere paragonati ai produttori che devono fornire surplus agli scrocconi e la regola è che la produzione dei beni non deve essere fine a se stessa ma legata alla richiesta di consumo che necessariamente trova il suo fine ultimo in un sempre maggior numero di consumatori.

La conseguenza di questa corsa a spingere i consumatori a consumare è rappresentata dalle malattie croniche associate ai diversi modelli di consumo di cibi e bevande, di tecnologie e strumenti elettronici, di attività da svolgere nel tempo libero, di trasporti e di varie tipologie di preparati chimici.

I paesi ad alto reddito hanno visto un improvviso aumento delle malattie croniche a partire dalla metà dall’inizio del novecento e una seconda ondata della stessa crisi si è diffusa poi anche nei paesi a basso reddito o in via di sviluppo nei decenni successivi. Questo cambiamento va inserito anche nella riduzione della mortalità e fertilità e nelle migliori condizioni di salute.

Un processo generale di cambiamento che dalle condizioni di sussistenza è passata a quella capitalistica, modificando la dieta: da povera di grassi e ricca di fibre e amminoacidi a un aumento del consumo di zuccheri, grassi e alimenti preconfezionati, fino alla tendenza diffusa nelle società più ricche a ritornare a una dieta più salutare a base di frutta, vegetali, fibre e meno grassi, accompagnata a una riduzione dei comportamenti sedentari.

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C’è da notare però che se il processo di sviluppo per i paesi ad alto reddito, per modificare le abitudini e stili di vita, ha avuto bisogno di alcuni secoli, nei paesi in via di sviluppo lo stesso cambiamento avviene in pochi decenni, portandosi dietro effetti gravi di diseguaglianza che ben poco hanno a che fare con l’alleviare la fame.

Il significato di ciò sta nella necessità di mantenere le diseguaglianze di ricchezza e gerarchia sociale utili all’espansione dei rapporti di potere e, in ultima analisi, alla necessità di consumare.

Consumare è nella sua essenza profonda un processo che lega l’identità dell’individuo al su rango sociale, rendendolo quindi manipolabile e assegnandogli un ruolo centrale nel modello di produzione della ricchezza. In base alle regole dell’economia classica, un soggetto acquista beni in base a due principi: quanto costa e quanto lo desidera.

A questo paradigma si affianca, tuttavia, la posizione sociale dell’individuo in base alla quale i ricchi confermano il loro status tramite l’ostentazione dei consumi, assicurandosi in questo modo la persistenza della povertà e alimentando di fatto il desiderio di emulazione e quindi di beni nelle classi meno abbienti.

Sintetizzando: dalla rivoluzione del cotone della metà del 1600 in poi si è consolidato il concetto di moda in grado di promuovere un’estensione dei desideri anche alle classi meno abbienti.

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La moda non coinvolge solo gli aspetti estetici dell’individuo, ma ha influito, e continua a farlo, anche le scelte alimentari. A partire dal settecento la diffusione tra le classi più facoltose di caffè, tè, cacao e cola ha avuto il significato di moltiplicare i profitti e scoprire il valore delle sostanze psicoattive. Tutti questi prodotti contengono caffeina, che provoca dipendenza, inoltre all’origine sono amari e per addolcirli necessitano di zucchero.

In pochi decenni il consumo crescente e sempre più diffuso tra le diverse classi sociali ha permesso, pur abbassandone i prezzi, di aumentarne a dismisura i profitti. Le sostanze che generano dipendenza sono l’ideale del capitalismo e dell’assunto: “solo troppo è abbastanza”.

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La diffusione del rum, derivante da una sempre più consistente produzione di zucchero e del tabacco, ha poi completato un sistema di
controllo tra produttori e consumatori basato su una domanda di mercato alla quale dare piena soddisfazione. E non è un caso che lo zucchero insieme all’alcol siano alla base delle epidemie di malattie croniche contemporanee.

L’invidia per lo status delle classi più abbienti, unita a una strategica stimolazione metabolica, ha alimentato e continua ad alimentare il consumo di massa!

 

di Nicolò Gambarotto

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