Museo del Vino e del Vetro Pietro Pittaro.
Aperto da lunedì a sabato: 8.00-12.00 e 14.00-18.00
Festivi esclusi
ARTICOLO DI CLAUDIO FABBRO
Associare il vino ad argomenti apparentemente diversi, più legati alla storia, alla cultura e all’arte, potrebbe sembrare fuori tema; ma poiché le descrizioni frettolose che si limitano al “bianco o rosso, buono o cattivo” appartengano a generazioni del passato, l’approccio del millennial con il mondo della vite e del vino, soprattutto se ha frequentato un corso, anche amatoriale, che diverse associazioni propongono da decenni, conferma che parlarne o scriverne congiuntamente offre un quadro più completo e gradito.
Che Piero Pittaro ne avesse fatto una regola di vita sin da studente all’ Istituto Enologico di Conegliano Veneto, anni ’50, di certo non rappresentava la media.
Ma lui andò avanti per la sua strada, sia nei 16 anni che lo videro alla direzione della Cantina di Bertiolo (UD), nel mezzo secolo ai vertici regionali, nazionali e infine mondiali di Assoenologi, sia dal 1970 in poi, quando creò la “Vigneti Pittaro”, cioè quell’azienda che da allora, per l’enoturista, è tappa obbligata quando da Codroipo si reca a Udine, pochi metri dopo la base delle mitiche “Frecce Tricolori”.
Considerati i suoi molteplici impegni, quale imprenditore privato di grande interesse pubblico, in sua assenza il suo collaboratore storico, l’enologo Stefano Trinco, potrà supplire accompagnandolo al primo piano dove si trova il Museo Pittaro, poiché fermarsi a degustare in cantina senza conoscerne le radici sarebbe riduttivo.
“Una storia – racconta Piero – che ha affascinato scrittori di mezzo mondo e un’arte firmata Benois (Alexander e Nicola), dei quali alcune opere sono state donate da me al Peterhof di San Pietroburgo, presente un entusiasta ‘neo zar’ quale Vladimir Putin; era il mese di dicembre del 2016. Il collegamento arte & vino e Friuli & Russia parte dalla mia amicizia con la famiglia Benois, artisti, coreografi e scenografi in Parigi, Roma, Firenze, alla Scala di Milano, San Pietroburgo e Bolshoi di Mosca nonché di casa in quel di Codroipo, dove oggi Nicola riposa per sempre accanto alla sua amata e nota soprano Disma De Cecco”.
È evidente quanto un evento di tale portata giovi all’immagine del Friuli Venezia Giulia molto più di depliants, pubblicazioni autocelebrative e iniziative varie che intasano i social.
Quando stuzzichi Piero Pittaro su queste scelte scaturisce un sentimento che, per un momento, prevarica la tecnica enologica, e che non è facile sintetizzare.
“La mia avventura in queste terre di ghiaie aride – prosegue Piero – inizia negli anni ’70. Nelle ‘Grave’ l’irrigazione era un sogno; ma bastava estrarre l’acqua da pochi metri di profondità. E così feci. Poi nel cuore dei vigneti (oggi una novantina di ettari) nacque la cantina, anche con una parte interrata pensando alle bollicine ‘Metodo classico’. Ma già allora tutto il primo piano era dedicato al Museo. Ma una cosa mi frullava continuamente in testa.
Perché buttare tutto il vecchio anche se non serviva più? Perché distruggere la nostra stessa storia? Perché non conservare a futura memoria anche gli attrezzi più comuni, frutto dell’inventiva dei nostri avi? Un sogno non facile da realizzare; ma ne ero fortemente convinto e così iniziai le mie ricerche.
Cominciai con le stampe antiche, coi libri di viticoltura ed enologia, con quelli di agricoltura in generale. Ora li possiamo leggere, toccare, sfogliare, in biblioteca.
Poi pensai agli attrezzi di cantina, al vetro nelle sue innumerevoli forme, ai mobili, agli oggetti con simboli bacchici. In totale sono esposti più di 9.000 pezzi, tanto da occupare una notevole superficie della cantina.
Al fine di rendere più interessante la visita al Museo, l’ho diviso per gruppi, per sezioni, per raccolte omogenee, per settori e cioè la biblioteca, le stampe, i bastoni, la glass collection, le botteghe e le bottiglie di ceramica. Il tutto legato logicamente al vino”.
Se il lettore, frenato dai frequenti DPCM causa Covid 19, il Museo oggi se lo sogna, potrà godersi virtualmente, in vignetipittaro.com, quanto potrà toccare con mano in un prossimo futuro, quando andar per musei non sarà più un reato, equiparato a un assembramento smascherato in una discoteca.
PER SAPERNE DI PIU’.
Il Museo nei particolari.
…la parola a Piero Pittaro…
La biblioteca
Penso che nessun prodotto come il vino abbia avuto nei secoli tanti scrittori. Dai detti e proverbi romani, tramandati su preziosissimi e rari manoscritti, fino alle fantasiose descrizioni dei degustatori di oggi. Da Ovidio a Columella, da Plinio a Virgilio, passando per la Persia di Omar Kayyam, un tempo ricca di vigneti, fino ai francesi Ribereau Gayon, a Peynaud, ai nostri Marescalchi, Garoglio, Tarantola e via elencando. Non riesco a immaginare una tal fioritura e altrettanta ricchezza di testi. La più grande libreria al mondo che colleziona libri antichi, è quella di Vicenza, donata al Comune da un appassionato del settore, il signor Demetrio Zaccaria che consta di più di 30.000 volumi. Si chiama “Libreria internazionale la Vigna”. La nostra biblioteca conta circa 3.000 volumi, dall’Agostino Gallo del 1500, alla ricca letteratura enoica del ‘600, ’700 fino ai giorni nostri. E poi la mitica enciclopedia del Diderot e D’Alambert, del 1700, 33 volumi dedicati a tutto lo scibile fino alla data della stampa dell’enciclopedia. La biblioteca è strettamente privata, consultabile su specifica richiesta.
Le stampe
Le stampe sono un racconto storico, alla portata economica di tante persone. Non sono altro che riproduzioni in bianco e nero, alcune acquerellate a mano dopo la stampa. Riproducono grandi quadri di grandi pittori. Riportano in bassa la scritta, per esempio:Tiziano pinx, Zuliani inc. Le datazioni vanno dal 1500 alla fine del 1800. Tutte originali, su carta coeva, a soggetto bacchico, sono un’emozione per chi ha la pazienza di ammirare e coglierne le più sottile sfumature artistiche, sia del pittore che dell’incisore e dello stampatore. Sono circa 150 e coprono 4 secoli di pittura e arte grafica. Assieme alle stampe nel museo potete ammirare una raccolta di un centinaio di proclami, grida, notificazioni, avvisi, bandi, editti. Si tratta delle leggi d’un tempo, logicamente riguardanti il vino e i dintorni, i cui bandi venivano appesi sulle pubbliche piazze, nei pubblici uffici oppure letti e gridati in pubblico. Le datazioni vanno dal 1556 ai primi anni del 1900.
I bastoni da passeggio
La collezione dei bastoni da passeggio del vino è unica al mondo. Spieghiamoci meglio. Il bastone è sempre stato un attrezzo usato dall’uomo, dalla preistoria ad oggi. Un ramo d’albero, una clava servivano per difendersi dagli animali o dai propri simili. Servivano per appoggiarsi durante il cammino, specialmente in età avanzataPoi il bastone divenne simbolo di comando. Re, Imperatori, Papi, come simbolo di comando avevano il bastone riccamente inciso e decorato. Arrivando d’un salto alla metà del 1800, il bastone divenne anche un oggetto di moda che veniva portato per dare maggior risalto a una persona. L’arte e l’inventiva si svilupparono in modo fantastico. A parte la decorazione dell’impugnatura la canna era un contenitore per tutti i gusti e per tutte le professioni. Così troviamo, sempre all’interno della canna: penna, pennino, calamaio, necessaire per medici, chirurghi, notai, dentisti, barbieri, ricamatrici, profumi,necessaire per pic-nic, gioielli, ventagli, cannocchiali da teatro, e l’elenco può continuare all’infinito. Nel caso nostro, ossia dei bastoni da vino, la fantasia umana si è sbizzarrita all’infinito. In quarant’anni di ricerca abbiamo collezionato oltre 180 bastoni enoici che così possiamo descrivere. Le canne sono normalmente dei seguenti materiali: legno di Malacca, ebano, bois d’amour, legno di frutto, palissandro, legno di pernice, ginepro, nocciolo, bambù, bois de rose, tartaruga, e tanti altri. Le impugnature sono: oro, argento, bronzo, legno duro, avorio, corno di rinoceronte, corni di animali, ossa di balena, noccioli di Cayenna, tartaruga e via elencando. Quasi tutti sono incisi, intagliati artisticamente con grappoli d’uva, simboli bacchici, teste di animali. Lo stesso dicasi per le canne. Quello però che li identifica come oggetti del vino sono i contenuti. Svitando l’impugnatura si trova un oggetto utilissimo, il cavatappi, oppure una bottiglietta sottile e lunga, con relativi bicchierini, dove veniva contenuto il Cognac o il Whisky, oppure ancora il necessaire per pic-nic, il mostimetro, il termometro per controllare la temperatura del vino. Questi preziosi oggetti della moda son quasi tutti d’origine francese e inglese. Pochi italiani, austriaci o di altri paesi. Tutti sono collocati in bacheche, con visibili e bene in evidenza i contenuti.
La glass collection
La collezione degli oggetti in vetro, è forse la parte più importante del museo. Possiamo configurare per argomenti i seguenti gruppi:
– Vetri veneziani
– Vetri di Boemia (Biedermeier)
– Boites o caves a liqueur
– La bottiglia da vino
– Vetri vari del vino
Vetri veneziani
Collezionare vetri veneziani d’epoca è una grande impresa, in quanto gli oggetti sono molto fragili. La collezione annovera molti pezzi cosiddetti “da parata”, ossia creati come arte e non per uso comune, bottiglie in vetro lattimo, boccali, piatti da mensa, acquarecci, lavadita, bottiglie albarelli da farmacia, statuine di personaggi inventati come arlecchini, maschere veneziane, oggetti di fantasia.
Vetri di Boemia
Sono i cristalli più famosi nel mondo. Fusi, incamiciati, intagliati, incisi, veri e propri capolavori dell’artigianato artistico. Si possono ammirare incisioni su vetro bianco, vetro a smalto nei quali l’uva e bacco ricorrono molto frequentemente. Il vetro viene fuso con una certa quantità di piombo. Lo spessore, la durezza e la dimensione rendono facile l’incisione all’artista.
Cave e Liqueurs
Si tratta di piccole scatole, artisticamente lavorate, decorate con intarsi in ottone, madreperla, legni a diverse colorazione. Contengono tutte quattro bottiglie per liquori e quindici bicchierini. Venivano usate sulle carrozze dei nobili, per i lunghi viaggi. Sono di origine francese e inglese.
Le bottiglie da vino
Un tempo il vino veniva conservato e commercializzato in piccoli fusti di legno, anfore in terracotta, otri di cuoio, vasellame vario. Al momento del servizio veniva travasato in boccali o bottiglie e servito a tavola. Questo sistema era poco pratico e non garantiva la qualità finale del prodotto. Nel 1653 un nobile inglese pensò di produrre su larga scala bottiglie e vendere il contenuto con contenitore. La data è certa in quanto sulla bottiglia veniva fuso in vetro il sigillo con il monogramma del nobile o con la data di produzione. Mi direte, come mai in Inghilterra? La domanda è pertinente e la risposta facile. Gli inglesi a quel tempo erano i padroni del mondo. Oltre al lori Whisky erano praticamente proprietari del distillato dei Caraibi (Rum), del Porto, dello Sherry, del Marsala, del Malaga, del Madeira. Commerciavano moltissimo coi vini di Bordeaux e della Borgogna. Le bottiglie erano molto fragili, in quanto la silice era fusa con fuoco a legna, ossia a 500°C o poco più. Solo più tardi la temperatura si elevò usando il carbone della legna, quindi con carbone fossile e infine, ai nostri giorni con gasolio. Ora le temperature si avvicinano ai 900°C e più. Dall’Inghilterra a fine ‘600 la bottiglia passò in Francia, nella regione della Champagne-Ardenne. Solo verso il 1730 arrivò in Italia, nella zona di Poirino, vicino a Torino, quindi in Austria, Germania, Spagna, Portogallo ecc…
La nostra collezione di bottiglie dispone di quattro bottiglie del ‘600, più di trecento del ‘700 e, una quantità notevole dell’ ’800. La raccolta termina con il passaggio della soffiatura dalla bocca del soffiatore alla macchina.
Vetri vari del vino
Il museo è poi arricchito da una grande quantità di altri vetri soffiati, come damigiane da vino, da conserve e vari contenitori. Quindi i quarti di brenta piemontesi e bottiglie raffiguranti personaggi storici, animali, monumenti ecc
Le botteghe
Ossia arti e mestieri del vino.
La zona che occupa la maggior superficie è destinata alle botteghe. Tutta la attrezzatura della cantina e dintorni invece di essere esposta in ordine sparso, è raccolta in un grande salone diviso in stanze, ossia in botteghe, dove il visitatore può ammirare da solo l’attività artigianale del tempo che fu.
Troverete quindi le seguenti botteghe:
– Stamperia delle etichette
– Vecchio ufficio
– Dispensa
– Bottega del bottaio
– Bottega del sugheraio
– Bottega delle pompe e delle tappatrici
– Bottega degli attrezzi per la vigna
– La vecchia cantina
– L’osteria
– La bottega dei pesi e misure del vino
– La vetreria
– La distilleria
Una passeggiata interessante e un ritorno interessante nel passato.
Le bottiglie di porcellana
La collezione delle bottiglie di porcellana del museo del vino, è ricca di circa 2.000 pezzi. Si tratta di bottiglie fabbricate dal 1900 al 1975 dalla ditta Marchi di Brescia. Venivano usate per i vini passiti, per i liquori e per diversi distillati. Erano di porcellana, in quanto questa materia evita la traspirazione del liquido, come invece avviene nella ceramica. Le forme sono frutto della creatività artistica del maestro che preparava lo stampo, del collaboratore che rifiniva la fusione, delle ragazze pittrici che rendevano vivo l’oggetto coi colori. Raffigurano una straordinaria quantità di personaggi: storici, di fantasia, sportivi, miti dell’Egitto e della Cina. Ma anche monumenti, animali, barche, e tanti altri ancora. Poi boccali, pipe, bottiglie,frati, e moltissimi altri soggetti. Nella versione di una bottiglia o di un boccale normale, magnum, mignon. Interessantissima la collezione di vecchi boccali friulani, asburgici, da convento, bocce di Capodimonte. A conclusione l’intera serie degli Arlecchini delle ceramiche veneziane. Ideati e prodotti dal veneziano prof. De Rosa. Si tratta di nove statue, quattro suonatori e cinque cantanti, che descrivono la storia e l’evoluzione del costume di Arlecchino.
FOTO GENTILMENTE CONCESSE DA PIETRO PITTARO
Redazione Top Taste of Passion